Quando si tratta di quote di mercato in GDO, nella migliore delle ipotesi si fa riferimento a quelle dei centri distributivi retailer, se non direttamente delle insegne nazionali ma ciò significa leggere il giornale tenendo un occhio chiuso.
La realtà è, infatti, rappresentata da una filiera lunga dove, nella maggior parte dei casi, chi acquista dall’industria, negoziando i contratti di fornitura, non è anche titolare di tutti i punti vendita che servono, poi, il consumatore finale. Come è noto, le aziende della GDO possono incidere solo limitatamente sulla gestione degli spazi a scaffale delle loro reti perché, in parte, tali reti sono di proprietà di imprenditori indipendenti.
In definitiva possiamo dire che, in Italia, quando si quantifica il mercato GDO, si fa sempre finta che esistano importanti quote di mercato in mano a grandi aziende, ma ci si dimentica che, al di sotto di queste, spesso esiste una moltitudine di micro-società le quali sono legate ai cedi tramite dei contratti che, per definizione, scadono. È qui che risiede un sottomercato, ovvero quello dell’affiliazione, che nel nostro Paese è florido ma di cui nessuno si occupa veramente.
C’è solo un ente che ha messo a fuoco questo settore del mass market retail che, sebbene sia rappresentato da fatturati polverizzati, se individuato nel suo complesso ha un valore decisamente rilevante.
Stiamo parlando dell’Ufficio Studi dell’Istituto GeoRetail Italia che ha realizzato un’analisi dettagliata e di cui un pezzo è stato pubblicato la scorsa settimana relativo ai discount. L’Istituto, però, ha approfondito lo studio anche sulla GDO tradizionale e GDONews in questo articolo ne pubblica una parte con l’obiettivo di mettere a fuoco le quote di mercato prodotte dagli affiliati nei formati tradizionali, ovvero da migliaia di p.iva, ognuna delle quali presenta un bilancio che “apporta acqua” all’una o all’altra insegna.
La poca conoscenza sui numeri di questo importante business trova una ragione nella sua sostanziale staticità, agevolata sicuramente dai contratti a lunga scadenza. Però, a nostro parere, le ragioni di tale immobilismo sono da ricercarsi soprattutto altrove.
La GDO, infatti, è abituata a vendere al consumatore finale ma molto meno ad operare attività B2B. Il mondo dell’affiliazione non è palese, non si vedono pubblicità dell’una o dell’altra insegna che spingono ad affiliarsi e, in generale, la comunicazione sembra un po’ sottotraccia, quasi si basasse completamente sul passaparola.
Non esistono venditori che scandagliano il territorio come farebbero se si trattasse, ad esempio, di aziende di produzione. In altre parole, la GDO non tratta il mercato del franchising come se avesse il valore che in realtà ha.
Dall’altra parte, in aggiunta, ci sono i piccoli imprenditori che spesso non hanno i mezzi e l’organizzazione per ottenere una panoramica fedele dell’offerta nazionale e dei servizi correlati. È questa la ragione di una staticità “imposta”.
Ciò dà quasi l’illusione che le insegne non siano poi così diverse tra loro in termini di offerta ma sappiamo non essere così perché, in realtà, le offerte sono molto differenti. Si distinguono, ovviamente, nella tipologia (Discount, EDLP, High-Low) ma anche nell’approccio alla costruzione assortimentale, nelle forze competitive, nei servizi offerti, nella qualità dell’MDD, nel marketing territoriale, nelle strategie comunicative e persino nei valori espressi dal brand che rappresentano. Lo studio che ha realizzato Istituto Georetail Italia è una prima risposta a questi silenzi.
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