
Questo articolo commenta la recente sentenza C-281/12 della Corte di Giustizia Europea, con la quale la Corte ha precisato che una pratica commerciale deve essere qualificata come «ingannevole» qualora tale pratica, da un lato, contenga informazioni false o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto.
I fatti
La fattispecie concreta oggetto della decisione riguardava una promozione particolare presso alcuni punti vendita in Italia, nel cui ambito alcuni prodotti venivano posti in offerta a prezzi vantaggiosi.
Il volantino pubblicitario recava il titolo «Sconti fino al 50% e tante altre occasioni speciali», e tra i prodotti posti in offerta in tale volantino pubblicitario a un prezzo promozionale vi era un computer portatile.
Un consumatore ha riferito all’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) l’asserita scorrettezza di tale comunicazione commerciale in quanto, essendosi recato presso il supermercato durante il periodo di validità della promozione, tale prodotto informatico non era disponibile. A seguito di tale segnalazione, l’AGCM ha avviato nei confronti della catena una procedura per pratiche commerciali scorrette ai sensi degli articoli 20, 21 e 23 del decreto legislativo n. 206, del 6 settembre 2005 – Codice del consumo. Tale procedura si è conclusa con l’adozione, il 22 gennaio 2009, di una decisione che ha inflitto una sanzione pecuniaria.
E’ stato proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che lo ha respinto, cui è seguita poi l’impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato, il quale prima di decidere ha sottoposto alla Corte di Giustizia UE la seguente questione pregiudiziale sull’interpretazione della Direttiva:
«Se il paragrafo l dell’articolo 6 della direttiva [2005/29], in riferimento alla parte in cui nel testo in italiano usa le parole “e in ogni caso”, debba essere inteso nel senso che, per affermare l’esistenza di una pratica commerciale ingannevole, sia sufficiente che sussista anche uno solo degli elementi di cui alla prima parte del medesimo paragrafo, ovvero se, per affermare l’esistenza di una siffatta pratica commerciale sia necessario anche che sussista l’ulteriore elemento rappresentato dall’idoneità della pratica commerciale a sviare la decisione di natura commerciale adottata dal consumatore».
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte quindi sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»)
Il Codice del Consumo
Il decreto legislativo n. 206 – Codice del consumo, del 6 settembre 2005 (supplemento ordinario alla GURI n. 162, dell’8 ottobre 2005), contiene un articolo 21, comma 1, lettera b), inserito dal decreto legislativo n. 146, del 2 agosto 2007, che ha in particolare trasposto la direttiva 2005/29 nel diritto interno. Tale articolo così dispone:
«È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
(…)
b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, (…)».
La decisione della Corte
La Corte di Giustizia ha precisato che «…affinché una pratica commerciale sia qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, essa deve in particolare essere idonea a indurre il consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
…
Occorre pertanto rispondere alla questione sollevata dichiarando che una pratica commerciale deve essere qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, qualora tale pratica, da un lato, contenga informazioni false o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’articolo 2, lettera k), di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto.
Cosa significa questo principio in pratica per le catene commerciali?
Le precisazioni della Corte di Giustizia UE
La Corte ha chiarito che anche gli atti preparatori all’eventuale acquisto di un prodotto, come lo spostamento del consumatore fino al negozio o il fatto di entrarvi, sono inclusi nella nozione di «decisione commerciale».
Conclusioni
Nel caso di specie, la Corte ha preso in esame il fatto che il consumatore si fosse recato al punto vendita indotto dalla promozione reclamizzata nel volantino, ed è stato considerato vittima di una pratica ingannevole.
Occorre però fare ben attenzione: alla luce delle precisazioni della Corte di Giustizia UE, qualsiasi pratica ingannevole che induca il consumatore a recarsi al punto vendita integra un atto preparatorio che rientra nella nozione di «decisione commerciale» e trova quindi tutela nel Codice del consumo.
La realizzazione della decisione commerciale viene quindi anticipata agli atti preparatori all’eventuale acquisto, a prescindere dai mezzi con i quali vengano sollecitati (volantini, annunci online, pubblicità radiofonica, ecc.)
Approfondimenti
Per completezza, si riporta qui di seguito il dispositivo integrale della sentenza:
«Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:
Una pratica commerciale dev’essere qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), qualora tale pratica, da un lato, contenga informazioni false
o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’articolo 2, lettera k), di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto.»
Il testo integrale della decisione è reperibile al seguente URL:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62012CJ0281:IT:HTML
E’ ASSOLUTAMENTO CORRETTO . NON VA BENE PERCHE’ SIAMO ABITUATI A PRENDERE PER I FONDELLI I CONSUMATORI ????
Direi che la decisione è ineccepibile. Il volantino è la vetrina dell’esercizio e di conseguenza ciò che viene comunicato in termini di prodotti o offerte deve essere disponibile all’interno e il cliente ha il diritto di esigerlo.
Non riesco a capire perché la GDO debba sentirsi indenne da queste regole.
Penso che il problema sia più complesso che nell’additare la GDO e, va esaminato sotto molti punti di vista. Uno di questi è quello dell’ accaparramento repentino di alcune categorie di gestori che fanno incetto di quantitativi di prodotti destinati al consumatore finale e, questo di conseguenza vede deluse le proprie aspettative di acquisto non trovando il prodotto.Penso che per accontentare un po tutti ci sia bisogno di buon senso:evitare gli acquisti massificati e renderle solo a scopo d’uso di bisogno familiare.
Pazzesca…??????????? ma cosa scrivete ? E’ una sentenza GIUSTISSIMA; lo sapete quante volte si ripete questa situazione ? e sapete che ‘ e’ chi ci specula e crea una concorrenza sleale a costo zerao ??
Il problema è annoso, specie in alcune insegne, che guarda caso sono quelle con i risultati peggiori.
E la causa non è certo l’accaparramento ma la mala gestione unita all’affollamento incredibile dei pacchetti promo, con lo scopo di aumentare i contributi.
Assolutamente corretta la sentenza. Trovo tuttavia che essa debba essere integrata, a favore dei commercianti “onesti”, con una disposizione che permetta a questi di limitare gli acquisti in punto vendita, al “solo bisogno familiare”, consentendo quindi di specificare il numero massimo di pezzi disponibili per cliente. Si evitano accaparramenti ed acquisti speculativi e si permette a tutti di accedere alla promozione.
Io credo comunque che ci sia una importante differenza tra il caso in cui il prodotto in promozione non è mai stato presente nel negozio della catena in questione e il caso in cui è esaurito, perchàe magari il cliente pretende di trovarlo l’ ultimo giorno della promozione. Una pretesa come quest’ ultima renderebbe quasi impossibile fare delle promozioni….