Molti addetti ai lavori esperti di GDO, anche gli stessi protagonisti della Grande Distribuzione si sono sempre chiesti perché nessuna azienda italiana operante nel mondo della distribuzione organizzata non abbia mai sfondato all’estero in maniera imponente, com’è successo, ad esempio, con la distribuzione inglese, oppure i Discounter tedeschi, gli Ipermercati francesi, ma non si escludano i retailer olandesi che, come Albert Hein, occupano addirittura il mercato USA con successo.
In Italia hanno tentato una esperienza all’estero il gruppo Crai, in estremo oriente ed a Malta, ma anche Conad in Albania, Coop in Croazia oppure Eurospin in Slovenia. Nessuno di questi esperimenti è lontanamente comparabile con le esperienze internazionali che sono state accennate sopra. Si ricorda a voi lettori che stiamo parlando della distribuzione alimentare, di enogastronomia, e la nostra cultura in tale campo è riconosciuta nel mondo come tra le migliori, senza voler dire la migliore che suonerebbe un tantino provinciale. Com’è possibile che con la ricchezza dell’offerta alimentare nazionale, la sua notorietà, la sua qualità, nessun Retailer italiano si sia affermato anche all’estero con un assortimento portatore della straordinaria cultura del Bel Paese?
Allarghiamo le braccia e diciamo l’ovvietà: perché siamo italiani.
Esistono ragioni storiche e culturali prima di tutto, non siamo mai stati un popolo colonizzatore, e quando lo abbiamo fatto abbiamo pagato a caro prezzo il nostro ardire. Gli inglesi ed i francesi sono da sempre maestri nell’occupare prima popoli oggi mercati stranieri. Hanno nelle corde vocali storiche la vocazione alla colonizzazione. Esistono poi ragioni più tecniche ed attuali: la nostra Distribuzione è la prima ad essere frammentata, polverizzata, di fatto non ci sono grandi gruppi che dominano il mercato come in Inghilterra o in Francia dove il fenomeno della concentrazione è una realtà già consolidata e lontana nel tempo. In Italia la DO, la Distribuzione Organizzata, sorella piccola della GD, ovvero quella distribuzione che ha un unico punto decisionale nazionale, continua ad imperare, gli assortimenti cambiano radicalmente da una regione all’altra, soprattutto in alcune categorie, ed il distributore locale è difficile da “scalzare” per la sua conoscenza del territorio e del consumatore locale, non ci sono riusciti nemmeno i colossi francesi e tedeschi arrivati in Italia per conquistarla alla stessa stregua della Spagna, escluso il fenomeno Mercadona, straordinaria eccezione che conferma la regola. La DO è così capace a presidiare nel dettaglio tutte le minime esigenze del territorio, di ogni “piazza”, che riesce impossibile pensare ad un stesso protagonista della DO guardare verso l’estero, anzi il territorio straniero spesso coincide con altre regioni del Paese. Un po’ come succedeva nell’Italia pre-unificata. Se si volesse fare un paragone con il gioco del calcio, la GDO italiana è straordinaria in difesa, ma non all’altezza nel riuscire a svolgere un efficace gioco di attacco, non ha i fondamentali per riuscire a praticarlo. Adesso proviamo a fare una analisi molto semplice e poco pretenziosa ed elenchiamo le grandi insegne che compongono il panorama nazionale nelle sue leadership: prendiamo ad esempio l’eccellenza rappresentata da Esselunga, il leader di mercato Coop e l’insegna in grande ascesa, in termini di quota e di offerta, Conad, leader nel segmento supermercati. Insieme queste tre insegne rappresentano il 35% del mercato nazionale, non si parla di poco. Perché nessuna di queste insegne, ovvero quelle che si possono considerare una eccellenza nazionale, è riuscita ad avere un ruolo a livello internazionale?
Esselunga ha una redditività per metro lineare tra le più alte in Europa, è un gioiello della distribuzione nazionale, ma ha costruito questa eccellenza rispettando un principio fondamentale: è protagonista in pochi mercati e squisitamente regionali. Non conosce il sud italia, non conosce nemmeno il Veneto, una regione dove la Distribuzione Locale è ancora oggi una eccellenza in termini di offerta, eppure Esselunga in queste zone non esiste. Patron Caprotti, intelligentemente, ha sempre creato le ottimizzazioni delle procedure industriali anche e soprattutto grazie alla geografia in cui svolge il suo business. E’ una formula vincente, ed il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma con il limite di essere in completa antitesi alla vocazione di colonizzatore. Conad è una cooperativa di imprenditori associati, ed è proprio questo tipo di struttura societaria il congenito limite allo sviluppo del mercato all’estero, ci vorrebbero imprenditori stranieri pronti ad associarsi con un proprio CeDi. Per la Coop vale un discorso differente: è un fenomeno molto italiano, storicamente politico e politicizzato (anche se oggi molto ma molto meno se non nulla) e con le caratteristiche interne molto vicine alla regole che dominano l’interno dei partiti politici. E questa caratteristica è per definizione contraria allo sviluppo di progetti in terre lontane, inoltre oggi il sistema coop e’ qualcosa che si e’ allontanato dal mondo GDO, la parte finanziaria ha un ruolo di rilievo all’interno dei suoi bilanci. Sono solo tre esempi, sebbene rappresentativi di una importante quota di mercato, ma spiegano come può accadere che un Paese come il nostro, di fatto, non riesce ad esprimere il nostro straordinario potenziale enogastronomico all’estero. Un analogo limite se vogliamo, lo possiamo riconoscere anche nell’incredibile somiglianza che hanno tra loro le diverse offerte di assortimento e di politiche di marketing tra un gruppo e l’altro, e’ pazzesco se si pensa alla varieta’ ed alla capacità che potrebbe sviluppare l’economia della produzione alimentare nazionale anche all’estero. In verità noi abbiamo un’eccellenza che all’estero rappresenta, orgogliosamente, la qualità, tutta italiana, dell’offerta alimentare nazionale: è eataly. Ma come tutte le cose pregiate e di valore, non è di massa, sono poche pepite che ci rappresentano nei luoghi che più hanno respiro internazionale nel mondo.
Io vedo un’altra ragione, la mancanza di competenze, le aziende italiane di successo all’estero, non i marchi italiani di proprietà straniera, nestlè ne ha parecchi in portafoglio, si contano sulle dita di una mano.
Tornando al mio spunto, per andare all’estero, bisogna parlare le lingue straniere, capire i contesti locali etc.
A titolo di esempio la nostra gdo, dove avrebbe potuto aprire pv in Francia? ma in Francia la gdo era un decennio avanti a noi, ed infatti i primi iper in Italia sono stati aperti con il know how francese, in Svizzera o austria, situazioni similari a quella francese.
Forse i retailer italiani potrebbero aprire boutique del made in italy italiano, ma qua per avere successo ed il caso crai in cina insegna occorre avere personale e management che capiscano come presentare localmente il prodotto ed il concept.
La DO ha le potenzialità per fare questo forse più della GD, ma come direbbe Aristotele, in potenza, bisogna vedere nella pratica.
Le competenze manageriali?
Trovo il tema molto interessante. Credo lo sia ancora di più se analizzato dal punto di vista del consumatore anzichè dell’azienda. Il consumatore italiano sembra essere disposto a vivere esperienze di acquisto presso distributori stranieri, per cui si reca a comprare pasta, pizza e “mandolini” presso ipermercati francesi o supermercati tedeschi. Il consumatore inglese (o forse ancor di più quello francese) sarebbero disposti a scendere a tale compromesso? Acquisterebbero dunque fish, chips, birra e crauti da Esselunga UK/GER?
Oltre tutto quello che avete detto si deve mettere in conto che la GDO in Italia ha sempre sfruttato appieno i favori della politica, sia da una parte che dall’altra.
In oltre i centri commerciali italiani sono sempre mono colore e non permettono una costruzione di mall ove due soggetti dela GSO si fanno concorrenza.
Le lottizzazioni della costruzione del centro parte sempre con l’idea di fare ruotare i negozi satelliti attorno ad un unica organizzazione GDO.
Questi e altri mille fattori rendono la GDO Italiana non in grado di affrontare mercati che tutelano di meno l’inefficienza.
Semplice.
All’estero la qualita’ del cibo e’ nettamente inferiore e sono in commercio molto prodotti taroccati.
Nei supemercati inglesi(e non solo) e’ possibile trovare molti prodotti italiani imitati (parmesan, ecc.).
Riguardo Esselunga sarebbe interessante invece sapere i legami che ha con Rockfeller *******
Bravo condivido … e aggiungo che gli altri sono venuti qui in Italia a vendere le loro porcherie facendo chiudere migliaia di piccoli produttori !
E’ paradossale che si proponga questo tema quando la gran parte delle aziende del settore è in crisi.
Viene spontaneo rispondere all’interrogativo che, come hanno scritto altri, MANCANO LE COMPETENZE!
E purtroppo mancano anche per il mercato nazionale.
Sarà anche vero quello che si dice e si scrive, ma già il fatto che nel momento in cui si pensa che la nostra cultura enogastronomica sia la migliore del mondo, e subito ci si autotaccia di provincialismo,beh, ciò non rende l’autore di questo articolo molto diverso dai personaggi e dalle realtà italiane che lui stesso critica…perché la vera prima caratteristica del colonizzatore è proprio quella di sentirsi il migliore… provate a trovare un francese che si autotaccia di provincialismo qualora dovesse affermare, che ne so, che i formaggi francesi sono i migliori del mondo, ad esempio…macché, ci crede eccome e ne va fiero… e noi magari potremmo anche deriderlo…ma intanto loro comprano e conquistano da noi (e i nostri consumatori danno loro i nostri soldi), noi invece stiamo a guardare… credo che il primo problema sia questo e, come detto, va ben oltre il settore della grande distribuzione…
Avevo scritto questo articolo dieci anni fa e non lo ricordavo. Sono cambiate tante cose ma non è cambiata la distribuzione nella sua essenza. Vede caro lettore, tacciarsi di provincialismo in questo contesto non è una opinione. L’azienda nazionale GDO più grande che abbiamo è Esselunga che fattura circa 8,5 miliardi di euro. Segue Eurospin (che sono 5 ragioni sociali sebbene controllate da una capogruppo) con quasi 7 miliardi e Lidl Italia con circa 6, poi Coop Alleanza con circa 5. Ebbene: in Spagna Mercadona ne fattura oltre 25 miliardi, in Francia Leclerc ne fattura circa 60 di miliardi, Carrefour supera i 90 miliardi, in UK Tesco ne fattura 61, potrei continuare ma quello che avevo scritto e che confermo è che la nostra forza enogastronomica, che non è la migliore perchè lo diciamo noi, sebbene sia è oggettivamente varia e tra le più apprezzate al mondo, con il retail non c’entrano assolutamente nulla. Il retail è organizzazione, forza economica e lungimiranza. Le nostre sono piccole aziende del retail, i francesi, come dice lei, ci conquistano (nel settore della produzione ma non del retail) perchè sono molto più grandi ed organizzate. Sono governate da Board con manager di alto livello, noi abbiamo tutte imprese dove il diritto ereditario vale più di qualsiasi competenza. Siamo così, e senza autoflagellarsi, rallegriamoci di un fatto: saremo anche piccoli ma essere conquistati nel mass market retail riesce impossibile a qualsiasi straniero, proprio per le nostre peculiarità. Ne sanno qualcosa i francesi Auchan e Carrefour. Accontentiamoci, senza essere spiccioli nazionalisti o malinconici esterofili. Un caro saluto e grazie per il simpatico ricordo di questo articolo