Le “mini-confezioni” di Unilever sono la soluzione?

Contro la crisi e i consumatori impoveriti i grandi Unilever ha annunciato una nuova strategia: presto arriveranno sul mercato le mini confezioni per chi ha poco da spendere. L’idea è quella di adattare le confezioni alle esigenze ridimensionate degli acquirenti. “Se un consumatore in Spagna – afferma Jan Zijderveld, capo del business europeo di Unilever – può spendere solo 17 euro quando si reca a fare la spesa, non saremo in grado di vendergli la polvere per lavare la biancheria a un prezzo che corrisponde a metà del suo budget”.
In realtà le mini confezioni esistono già e vendono commercializzate nei paese emergenti dove la capacità di spesa del consumatore è ancora più bassa che nei paesi europei in crisi, ed in effetti in quei paesi funziona.
Ma la domanda è: da noi funzioneranno?
Innanzitutto va chiarito che otre che una stategia per il sellout quella delle mini confezioni è anche una strategia per aumentare la marginalità. Ovviamente a parità di peso la mini confezione sarà molto meno conveniente per questioni di incidenza dell’imballo ma non solo: Unilever infatti si aspetta un aumento della marginalità dello 0,2% (questo è quanto dichiarato).
Indipendentemente da questa legittima strategia del Gruppo, l’attenzione va posta sulla reazione del consumatore nostrano in confronto al consumatore di un paese emergente di fronte ad un queste nuove confezioni. Il nostro consumatore è sicuramente più attento ed evoluto, meno attratto dal prodotto di marca e, specialmente in questo periodo, estremamente concentrato sul risparmio. La nostra impressione è che questa strategia finirà col favorire ancora di più la diffusione e la vendita dei prodotti corrispondenti a marca commerciale e che il passo potrebbe rivelarsi controproducente, anche per la sensibilità ecologia che oggi contraddistingue il nostro consumatore (a differenza di quella dei paesi emergenti), che potrà avere sicuramente un peso importante nel valutare il cambio di confezionamento.

 

8 Commenti

  1. Per l’industria di marca è un’ottima opportunità di listing di ulteriori referenze e per i retailer di nuovi listing fee e di una migliore marginalità.
    La strategia è interessante, il grosso rischio è, per le aziende che fanno grossi volumi, quello di rendere il prodotto “piccolo” troppo conveniente in termini di qualità/prezzo/necessità di consumo e quindi di andare a cannibalizzare i formati standard e quelli grossi.
    Questo si tradurrebbe in perdita di quote di mercato, almeno a volume…

  2. Concordo con l’analisi finale dell’auto dell’articolo. Per quanto riguarda l’incidenza del costo dell’imballaggio forse non tutti sanno che il CAC contributo che le aziende pagano in Italia per gli imballaggi che immettono in commercio è il più basso in assoluto comparato a paesi europei del nostro livello. In questi paesi come Austria,Germania,Francia il contributo non viene calcolato sulla base del peso ma anche sulla base della riciclabilità dell’imballaggio. Una parte degli imballaggi usati per le porzioni monodose a busta sono in policcoppiato e quindi non riciclabili e giustamente penalizzate all’estero. Il costo di smaltimento dell’indifferenziato è in aumento sia che si parli di discariche che inceneritori. La crisi dei consumi nelle famiglie è un problema serio che non si risolverà a breve termine e va affrontato dalle aziende a 360 ° innovando l’offerta di prodotti, ripensando i cicli produttivi e distributivi per recuperare margini, ma anche le modalità di erogazione e il confezionamento considerando che si andrà inevitabilmente verso scelte sempre più essenziali. Per fare un esempio di come economia e ambiente siano ormai collegati se tutte le aziende produrranno sostenibilmente prodotti e imballaggi che non aggravano le produzione di indifferenziato le spese di gestione dei rifiuti si ridurranno (e così le bollette e le varie tasse correlate). Se quanto prodotto invece che creare costi creerà occupazione, tra nuovi posti nelle aziende del riciclo o nei servizi che nasceranno per riparare o noleggiare una nuova generazione di prodotti, allora si che si potrà agire sulle cause del problema. E’ vero che è la politica che deve traghettare i paesi verso un nuovo modello economico ma è anche vero che non fare nulla per le aziende equivale ad aderire ad “un suicidio collettivo”.

    A new report, from Deloitte’s Netherlands ” The Zero Impact Growth Monitor 2012:
    http://www.greenbiz.com/blog/2012/07/30/here-zero-can-we-grow-no-impact

    The true cost of food:
    http://www.greenbiz.com/engage/featured-blogs/true-cost

    http://www.facebook.com/notes/porta-la-sporta/ripensare-e-ridurre-il-packaging-anche-in-relazione-ai-canali-distributivi/408720452512607

    • Leggendo le risposte posso cogliere vari aspetti che reputo assurdi in termini di costi, lavorando per una multinazionale ed in un laboratorio di ricerca conosco molto bene gli incrementi percentale dei prodotti, un vero salasso. Penso che le famiglie italiane siano attente a quanto più convenga ed infatti non credo abbia molto senso mettere sul mercato piccole confezioni ad un prezzo decisamente più alto,il tipico “Specchietto delle allodole”, infatti girando per i centri commerciali si nota un inversione di questo sistema, di solito si comprano confezioni molto grandi ( alimenti e detersivi ) dove li esiste il risparmio.Un mio ricordo di quanto successe nel lontano 1993 quando la crisi e l’ingresso dei discount fecero abbassare notevolmente le quote alle multinazionali, esse andarono al riparo creando prodotti con prezzi più bassi, leggermente inferiori in termini di qualità, che però oggi superate queste ostacoli si vedono al prezzo di prodotti di qualità. Considerando che la crisi di oggi sia decisamente più importante, visto i dati, sarebbe molto più intelligente non creare specchietti ma pensare veramente come si fece nel 1993 a mantenere o aumentare quote di mercato a discapito di margini,un vero investimento per la ripresa.

  3. Come al solito le multinazionali spacciano per attività filantropica (sic) una manovra per aumentare i listini e quindi i loro margini, in parole povere trattasi di “sgrammatura”

  4. Le mini confezioni permettono di comprare meno prodotto ad un costo inferiore e quindi c’è un effetto psicologico di avere nello scontrino un prezzo inferiore.
    Se si guardasse al prezzo al kg probabilmente queste confezioni sarebbero da scartare perchè il costo del pack incide di piu’.
    Io mi chiedo se invece delle mini confezioni le multinazionali si consorziassero per far diminuire i costi dei contributi richiesti dalla GDO. La GDO ormai vende spazi ai produttori che comprandoli fanno guadagnare le catene molto piu’ delle reali vendite di prodotti ai consumatori.
    Ormai si vive nell’assurdo che il prodotto che si acquista ha un costo proprio inferiore a quello del pack, del trasporto e dei contributi richiesti perchè lo stesso sia a scaffale.
    E’ ora di ripensare al modello, di chiudere un pò di centri commerciali e tornare a modelli di business sostenibili.

  5. Vi faccio sommessamente notare che i costi sostenuti dall’industria vs la GDO servono a compensare le attivita’ promozionali vs il consumatore, realizzate dai retailer spesso con margini negativi, il ciclo sostanzialmente si conclude a favore del consumatore. I veri costi sostenuti dall’industria, che ricadono SOLO! sul consumatore sono quelli relativi allo sviluppo dei piani MKTG a sostegno dei propri brand….quindi meno tv, internet e media in generale, meno packaging attrattivo e piu’ competitivita’ sull’effettiva qualita’e sostenibilita’ ecologica. Meno apparenza e piu’ sostanza, approffittando di un consumatore sempre piu’ sensibile e consapevole dei propri acquisti….chi comincia per primo?!?!

  6. Per favore Riccardo…
    non ci propinare la favoletta del perfetto buyer/category!
    Nessuno obbliga il trade a fare attività con margini negativi.
    Poi sarebbe interessante verificarli questi presunti margini, perchè se consideriamo tutto….
    Ad esempio si vedono in giro parecchi sottocosti dichiarati che non lo sono affatto, figuriamo quelli non dichiarati.
    E soprattutto il consumatore non ne gode quasi mai.

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