Il recente decreto Cresci-Italia ha decisamente inciso in un settore strategico per la GDO, l’agroalimentare, dettando regole che modificheranno i rapporti tra produttori e retailer. L’art. 62, infatti, disciplina in maniera estremamente dettagliata le relazioni commerciali attinenti alla cessione di prodotti agricoli e agroalimentari. Nell’obiettivo di pareggiare il rapporto tra parti contrattuali che il governo presume su posizioni diverse (grande distribuzione da un lato, e produttori dall’altro) le misure prevedono un riequilibrio tra gli agricoltori e la grande distribuzione. In particolare è stato introdotto l’obbligo di contratto scritto per tutti i passaggi dal campo alla tavola al fine di evitare che gli operatori impongano di fatto delle transazioni non scritte dove si rinvia il fissaggio del prezzo o del pagamento. Ed è qui la vera rivoluzione: “da adesso – ha spiegato il ministro – cambia la disciplina dei termini di pagamento. Negli ultimi anni i soggetti forti tendevano ad allungare di mesi e mesi i pagamenti mettendo in difficoltà agricoltori e imprese di trasformazione. Ora abbiamo fissato il termine di pagamento a 30 giorni per le merci deperibili e a 60 giorni per i prodotti trasformati. Inoltre abbiamo individuato sanzioni per pratiche sleali che imponevano comportamenti extra rispetto ai contratti. Ci sono troppe zone di opacità nella filiera – ha incalzato – abbiamo bisogno di più trasparenza.”.
Un altro punto chiave del decreto prevede una forte semplificazione burocratica per i produttori che intendono vendere al dettaglio che con una sola comunicazione potranno avviare l’attività di vendita diretta dei propri prodotti. Grazie a queste novità, ha commentato il ministro Catania, “faciliteremo agli agricoltori l’avvio delle attività di vendita diretta, anche fuori dall’azienda agricola, dopo il semplice invio di una comunicazione di inizio attività e semplificheremo i controlli sulle imprese. Con questi provvedimenti compiamo oggi un nuovo passo per rendere più competitivo l’agroalimentare italiano.”
Quello che sorprende è che un provvedimento varato al fine di stimolare la crescita economica tramite liberalizzazioni preveda una rigida e dettagliata disciplina contrattuale. Certo è che le pressioni dei produttori hanno avuto esito nella stesura delle norme, e sicuramente la parte riguardante i tempi di pagamento può essere accolta positivamente, anche se bisognerà vedere nella pratica quanto sarà applicata: la norma non può certo modificare la natura dei rapporti di forza in gioco e spesso quelle che appaiono come condizioni di squilibrio sono l’unico modo per consentire la stipula del contratto, e che quindi chi rischia di farne le spese non saranno tanto le parti contrattualmente “forti”, quanto proprio quelle deboli, che non potranno più avvalersi di forme di flessibilità negoziale finora diffuse per poter comunque concludere l’accordo.
Cosa succederà adesso? Come si comporteranno i produttori? Cercheranno di non perdere l’occasione o, in una fase cosi critica di mercato, cercheranno ancora accordi “flessibili” per mantenere i clienti? La vera domanda è: basta una legge per cambiare abitudini cosi radicate che sono ormai parte integrante delle pianificazioni finanziarie dei gruppi?
Io purtroppo sono pessimista, come mi insegnava il mio professore di diritto penale, non è con una norma che si evita un comportamento, sennò oggi non si ruberebbe.
Se domani l’insegna xyz non paga a 60 giorni che si fa? Causa? il decreto ingiuntivo? si applicano interessi? non penso che siano strade percorribili.
Sarebbe più utile che il governo impegnasse l’antitrust in questo, pratica evidente di un abuso di posizione dominante.