Sulle conseguenze del decreto Salvaitalia che liberalizza gli orari di apertura degli esercizi commerciali siamo solo all’inizio. Passato il primo momento di disorientamento i vari attori cominciano ad organizzarsi e iniziano a palesarsi le contraddizioni tipiche della nostra Italia. Se da un lato infatti nel settore del commercio le iniziative non mancano, iniziano a vedersi le reazioni di tutti coloro che di queste liberalizzazioni non vogliono proprio sentirne parlare.
A Padova, per esempio, si è consumato il primo atto della sfida tra Regione, che si ritiene ancora l’ente che deve autorizzare le aperture ex straordinarie, e diversi gruppi distributivi, tra cui Auchan, Despar, Pam ed Alì, che hanno scelto di aprire alcune loro strutture nella giornata di domenica 15, sfidando la nuova legge regionale sul commercio, promossa dall’assessore Isi Coppola con il pieno assenso delle associazioni e dei sindacati di categoria e recepita anche dal Comune di Padova. Comune che ha inviato i vigili urbani a multare le strutture aperte. E la domanda nasce spontanea: ma in questa nuova guerra del commercio, destinata a durare a lungo e che finirà senz’altro nelle aule dei Tar e del Consiglio di Stato, ha ragione chi fa riferimento al decreto SalvaItalia del 16 dicembre 2011 oppure chi si attiene alla nuova legge regionale già approvata da palazzo Ferro Fini? «Non è un quesito facile – afferma Alberto Cartia, avvocato padovano esperto di diritto amministrativo – A prima vista il delicato quesito potrebbe sfociare in una doppia interpretazione alla luce di tutte le novità apportate dal decreto Monti in materia di liberalizzazioni. Se, però, andiamo ad approfondire alle radici lo scottante interrogativo, ci rendiamo conto che hanno ragione i politici, gli imprenditori ed i commercianti che fanno riferimento alla legge regionale perché è la Carta Costituzionale ad affermare che, come d’altronde per la sanità, la competenza esclusiva del commercio spetta alle Regioni».
Altre regioni, come il Piemonte, non stanno rispondendo con la stessa durezza, anzi si mostrano abbastanza favorevoli agli orari liberi. E’ quindi evidente che in questa vicenda di chiaro non c’è ancora nulla, e che si dovranno attendere le varie interpretazioni (sperando che siano unanimi) per capire il destino di queste liberalizzazioni, con il rischio concreto che sia applicata a macchia di leopardo e a corrente alternata a secondo delle convinzioni delle amministrazioni pro tempore.
[…] che hanno visto in Veneto (regione che dovrebbe comprendere meglio di altre come fare impresa) multare punti di vendita che hanno voluto tenere aperto oltre gli orari tradizionali seguendo l’onda delle norme appena […]
credo che solo in Italia le Regioni possono legiferare contro lo Stato. Un assurdo in termini!
Ma l’Italia la salviamo solo con le liberalizzazioni del commercio ? Gli altri servizi possono continuare a funzionare come 60 anni fa ?
Sono la burocrazia , le banche , la politica il vero problema dell’Italia .
Troppe tasse e balzelli soprattutto alle piccole e medie imprese ….
posto che qst liberalizzazione è palesemente inutile (nn dannosa come dice qualcuno)le regioni nn possono fare un bel nulla……mi ricorda nel 2007 formogni che tuonava controle pparafarmacie :”qui in Lombardia mai!!!!!2….sappiamo come è andata…….
La liberalizzazione degli orari è un poroblema molto complesso. In linea di principoio va bene, poi ci sono tante questioni applicative che richiederebbero aklcune progressività, aggiustamenti e messe a punto.
La competenza nazionale in quanti argomento relativo alla libera concorrenza è ragionevole, per cui lìintervento per decreto è accettabile. Il tema tocca, a differnza di altri che rientrano esclisivamente nei problemi di concorrenza, anche protagonisti diversi dalle imprese e dai loro clienti, per cui va contemperato con altre esigenze (sicurezza, traffico, quiete pubblica, organizzazione genrale della città, diritti dei lavoratori, conciliazione degli orari di lavoro con gli orari di vita) che non sono certo di competenza esclusiva statale, per cui va trovate una soluzione più elestcia del “nessuna regola”, ma meno arbitraria delle decisioni lasciate ai Comuni e Province spesso solo a tutela delle categorie capaci di pesare di più elettoralmente o comunque di comunicare meglio le loro posizioni.
Nel frattempo la norma c’è e va applicata, salvo le limitazioni che i comuni possono porre per motivi di sicurezza e ordine pubblico (che non possono essere ordinanze generiche ma vanno motivate caso per caso in presenza di problemi reali).
Già due TAR (veneto e lombardia) hanno sopeso l’efficacia di ordinanze comunali tese a bloccare o rinviare la liberalizzazione, per cui non ha senso insitere. I Comuni debbono rispettare la legge (come ha ben chiarito ANCI)e poi possono cercare proposte “politiche ” poer migliorala insiema alle REgioni.
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