domenica 8 Settembre 2024

Editoriale: L’Italia e la crisi del GDO nel sud. I motivi di un dissesto

Molti ci hanno scritto, qualcuno anche nei commenti ai nostri articoli, domandando perché alcune imprese della distribuzione della GDO, soprattutto nel sud, stanno andando verso l’amministrazione controllata.

Colpa della crisi?

Esistono settori della nostra economia che registrano flessioni generalizzate a doppia cifra e normalmente, se non si analizzano le situazioni del mercato specifico (concorrenza, pagamenti, numero di imprese fallite, abbassamento della richiesta, concorrenza straniera, etc.), tali flessioni spiegano, se all’unisono, una situazione di oggettiva difficoltà del settore. Nel nostro Paese ci sono diversi settori del mercato in difficoltà (dalle costruzioni, alla ceramica, etc.) ma non quello della Grande Distribuzione. Sicuramente non stiamo vivendo periodi come gli anni ’90 sino alla metà della prima decade del 2000, dove gli incrementi di fatturato delle strutture di vendita erano la normalità. Da qualche anno, complice anche la crisi economica, i numeri, a mercato omogeneo, sono tendenzialmente negativi, certo si parla di deboli negatività, ma tali sono. A chi si domanda quando si tornerà agli standard degli anni appena accennati, la risposta è, secondo noi, mai.

Negli Stati Uniti, dagli inizi degli anni ’90, in piena era Clinton, famosa per la floridità dell’economia, il mercato del Mass Market era già a tali livelli di saturazione che le fluttuazioni nostrane di questi anni, intorno allo zero, erano la normalità. Il problema infatti è soprattutto la saturazione del mercato che obbliga necessariamente ad una evoluzione della qualità dell’offerta, che si deve rivolgere verso l’acquisizione di una maggiore professionalità. Vent’anni fa il passo in avanti fu portato negli USA dall’evoluzione del category management che si rese necessario proprio per creare un rinnovato valore aggiunto all’offerta determinato da più organizzata gestione dei lay out. Noi attualmente siamo in una fase dove è necessario un cambio di mentalità per procedere alla sopravvivenza delle attuali strutture distributive con l’acquiescenza della consapevolezza che lo sviluppo delle reti di vendita (numerica) oggi si rende necessario per mantenere i numeri in positivo, ma assieme a ciò si deve prendere coscienza che siamo obbligati dal mercato ad assumere un nuovo atteggiamento professionale fondato sulla qualità, sullo studio, sull’analisi, sulle sperimentazioni (che ovviamente non si possono chiamare Category Management) che, assieme allo sviluppo, possono dare un minimo di spinta necessaria per mantenere i numeri all’altezza della situazione. Ovviamente quando si parla di numeri, si intendono i fatturati, più che di margini, su cui bisognerebbe fare un altro ragionamento più profondo. In ogni caso il problema del sud Italia di oggi, dei probabili fallimenti già oggi emersi, e quelli che potrebbero emergere, oggi nascosti, hanno sicuramente come elemento scatenante la crisi, ma le cause non si fermano all’elemento scatenante, hanno altre motivazioni che si annidano nel limite più rilevante dell’attuale DO nazionale: la bassa qualità professionale di chi ha le redini in mano dei Gruppi della DO. Chi scrive, è possibile, si attirerà le antipatie di alcuni che si sentiranno giudicati, ma con sincerità si può affermare che di innovativo oggi in Italia c’è ben poco, e quel poco rarissimamente coinvolge il format della DO, che è quello messo qui sotto la lente di ingrandimento. A dire il vero, per restringere il campo dei problemi, si può anche affermare un altro postulato: i nostri buyer sono generalmente capaci, combattivi e determinati. Quello che manca, molto spesso, è una chiara visione strategica che sta alla base di ogni cambiamento e di ogni politica di acquisto. I motivi fondanti dell’attuale crisi delle aziende distributive che abbiamo citato in questi tempi potrebbero essere collegati ad una oggettiva incapacità ad affrontare la crisi con mezzi professionali idonei alla situazione. Però si può anche dire che i comportamenti professionali che hanno portato alla crisi di Sisa Calabria, così come Cipac e probabilmente anche Cavamarket non sono peggiori di quelli che si pongono in essere nei Gruppi distributivi del nord Italia, solo che al nord la capacità di acquisto del consumatore è oggettivamente differente, quindi i rischi sono inferiori (ma esistono). Una delle conseguenze della poca professionalità si può così riscontrare in un altro reale problema della GDO, quello della sopravvivenza attraverso una rischiosa politica di gestione finanziaria più che di vendita. Questo è uno dei nodi centrali del problema: il mercato spesso e volentieri lavora con denari che non sono, di fatto, di proprietà dei Gruppi Distributivi, ma sono piuttosto presi “a prestito” dall’industria fornitrice attraverso i pagamenti lunghi e soprattutto con i ritardi. Un mercato del genere non può non essere a rischio. E’ sufficiente una diminuzione dei fatturati per creare stati di crisi. Il fenomeno è molto italiano e negli ultimi tempi sta crescendo a dismisura: secondo una statistica pubblicata pochi giorni fa sul Corriere della Sera Economia dal 2008 al 2009 i tempi effettivi (quindi non quelli concordati) dei pagamenti nel settore privato (quindi anche la GDO) sono aumentati del 15%. Da qui le distorsioni, le sofferenze, le situazioni che se non sanate portano al fallimento. L’inesistenza di alta professionalità non può portare a evidenti miglioramenti. Bisogna anche dire che, a onor del vero, non tutta la DO esprime numeri negativi, a supporto di ciò rivelo qualche dato di cui sono in possesso: Megamark, che opera in un territorio attiguo a quello della Calabria, a mercato omogeneo sta crescendo nei primi tre mesi dell’anno del 4%. Adesso con l’acquisizione dei 62 PdV di GS/Carrefour si vedrà se il management potrà e saprà sostenere l’acquisizione. Nel territorio dove la Cipac è entrata in crisi, il gruppo Tuo Spa sta crescendo, nel settore discount oggi in crisi, del 10%. Insomma se fosse stato in crisi il settore o l’area geografica probabilmente questi dati non esisterebbero. Nel Nord, come accennato, le cose vanno un po’ meglio, ma il merito, si è detto, non sempre è dovuto alla professionalità del management, perché a parte limare le marginalità per accrescere la pressione promozionale, non si vedono particolari richiami innovativi nell’offerta ma, al contrario, la disponibilità del consumatore è oggettivamente superiore che nel sud Italia.
Come uscire da questa situazione? Attraverso una seria formazione professionale, attraverso una attenta analisi delle strategie di vendita che vengono compiute dalla concorrenza ed all’estero, attraverso una reale lettura delle esigenze del consumatore e soprattutto pensando che non è attraverso la battaglia al ribasso che si vincono le guerre, ma piuttosto attraverso la capacità di scoprire nuove esigenza del consumatore, facendoli innamorare dei prodotti che potrebbero acquistare, insomma detto in una parola, attraverso la cultura. Se poi anche la legislazione ci volesse dare una mano, sia attraverso una sana regolamentazione dei pagamenti come avviene in Francia, sia per creare più uniformità tra le determinazioni delle Regioni, sarebbe la benvenuta.

Dott. Andrea Meneghini
Dott. Andrea Meneghinihttps://www.gdonews.it
Analista ed esperto di Grande Distribuzione alimentare. E’ un attento osservatore delle dinamiche evolutive dei diversi format in Italia ed in Europa. Collabora con alcuni Gruppi della GDO italiana nelle aree di crisis communication management e news management. Affianca la Direzione Generale di alcuni Gruppi della GDO nella gestione delle strategie aziendali. Collabora anche con aziende del Mass Market Retail all'estero come assistant manager sull'italian food. Si può contattare scrivendo a meneghini@gdonews.it

38 Commenti

  1. la situazione in calabria mi sa che sta precipitando, ed i piccoli punti vendita saremo costretti a chiudere perche’ non si riesce a sostenere piu neanche le spese di normale amministrazione, inoltre ce da aggiungere che con la presunta sconparsa (perche nessuno ancora lo conferma) del fincedi tutti i piccoli affiliati che non erano poco hanno dei seri problemi ad inserirsi in una distribuzione piena di concorrenza,guardando sopratutto che i nostri sono bacini di utenza piccolissimi e si continua ad aprire super centri commerciali, discount e spacci alimentari, sopratutto l’ ultimo che tiene prezzi ottimi con i quali possiamo acquistare anche noi rivenditori che ci conviene.

  2. cavolo……..ma tu pensa……….
    ma noi specialisti di settore non siamop allora più costi da abbattere…ma tu guarda che cosa combina la crisi………..
    penso che l’abbia detto 2 anni fa che con qst dirigenza i problemi della gdo erano solo all’inizio………

  3. Ho letto con interesse i vostri commenti e sono colpito dalle informazioni che avete circa i problemi della distribuzione nel sud. Non ho trovato notizie di Sigma Calabria. Quali sono le conseguenze per questa azienda dopo il default Ficedi?
    Grazie

  4. Tutta l’analisi mi sembra condivisibile, aggiungerei solo che qualsiasi strategia per essere di successo necessità che sia ben eseguita per lunghi periodi di tempo, quello che gli americani chiamano execution.
    Ora un pò perchè siamo latini, un pò perchè siamo tuttologi, il category management seriamente in Italia lo fanno un paio di Insegne, che poi siano di successo ne è il logico risultato, ma badate bene agli non manca niente per ripetere il risultato, parlo di capacità degli uomini, risorse etc, manca la disciplina.
    Disciplina che vuol dire alzarsi tutte le mattine ed andare a fare le stesse cose che si sono fatte mille volte, provando a migliorarsi, a cominciare dall’AD.
    speriamo, e lasciatemi un pò d’ironia, che il CM non diventi un altro modo per chiedere alle aziende contributi a fronte d’aria fritta.

  5. Risposta a Roberto:
    Il default del Fincedi, ha lasciato immutato lo stato di salute del Cedi Sigma Calabria. Immutato significa che lo stesso continua a stare nel limbo della sopravvivenza. La struttura in se e per se non è mai decollata in modo ottimale. Strategie commerciali inadeguate, beghe tra soci, massa critica di fatturato poco adeguata a sostenere il costo di una struttura logistica, pochi servizi ai punti vendita. Per similitudine e impostazione societaria , Sigma è quella che più assomiglia a Sisa. Ma stranamente, non uno solo degli oramai ex punti vendita del cedi sisa calabria,è stato cooptato da questa struttura. Sara solo un caso? Una cosa è certa: per le superette e i supermercati di vicinato, i tempi sono e diventeranno ancora più difficili. Troppo piccoli per interessare alle grandi insegne, troppo radicati sul territorio per poter scomparire e quindi ” costretti a vivere”. Ma chi li potrà o li vorrà affiancare in questo difficile momento?

  6. convincetevi di una cosa:
    senza aumento del potere d’acquisto non si esce dalla crisi(ma se aumentiamo gli stipendi è difficile che i manager becchino i loro lauti bonus basati non sui risultati effettivi ma sulla capacità di tagliare)
    inoltre qst sono i risultati di un sistema economico “sui generis” del mondo gdo dove in alcune categorie (in genere il food) tagli il prezzo all’inverosimile al fine di vendere più merce, andando sottocosto reale, in modo da chiedere poi i contributi alle aziende in base al venduto; contributi che sono poi l’introito effettivo del comparto.
    Adesso le aziende non vogliono o non possono più tollerare qst situazione ed ecco il patatrack!!!
    In fatti alcune catene hanno i conti stabili o con segno meno insignificante ma sono alla frutta perchè le aziende non pagano più come prima.
    Tutti i bei discorsi dei Soldi, dei Brambilla , dei De Bernardinis, sono solo aria fritta …..la realtà è che il sistema economico italiano attuale e la sua dirigenza economica autoreferenziale sono basati sulla panzana e sulla finanza creativa (nela gdo anche elementare e di bassa lega)
    e può ingannare i più sprovveduti finchè l’economia cresce o rallenta poco (bastava vedere che nel periodo di vacche grasse noi crecevamo del 2% scarso il resto dell’europa big del 4 o del 6)

  7. Una cosa è certa: il terremoto che sta investendo do e gd al sud, non è solo figlio della crisi. La stessa ha fatto in modo che un nervo scoperto venisse fuori in tutta la sua drammaticità ma l’incubazione era già in atto.
    Molti spunti riportati nei commenti e nell’editoriale, sono veri e messi tutti assieme danno il risultato.
    Nell’ultimo decennio il settore della distribuzione non ha investito ( non che prima lo facesse). Strutture distributive vecchie per la maggior parte prive di appeal per i consumatori. Bacini di utenza molto limitati. Propensione alla spesa spesso sotto la media, dovuta principalmente a redditi pro capite da sussistenza. Improvvisazione e poca specializzazione. Nel sud la distribuzione viaggia con circa 15 anni di ritardo rispetto all’avanguardia europea.
    Mi preme sottolineare che anche a livello di strutture organizzate la tendenza è più quella di accedere a contratti di un certo livello, quasi che fossero la panacea a risolvere la crisi di consumi o peggio ancora la crisi di risultati attesi. Il dialogo tra industria e distributore si inaridisce nei contributi distribuiti. Questi ultimi, sono visti dal distributore, come il vero risultato di esercizio, il differenziale che aggiusta il bilancio. In fin dei conti si sonnecchia un anno intero per aspettare di riscuotere il premio alla fine dell’anno. Nel frattempo non si innova, non si investe in professionalità e in specializzazione, non si cerca di capire, studiare le esigenze o le aspettative del consumatore e farne occasione di opportunità di mercato, per differenziarsi dal competitor, abbandonando la leva del prezzo più basso( oggi la continua e forte promozionalità ha fatto perdere di vista il vero prezzo di mercato dei prodotti)
    E’ vero anche, che l’allungamento dei tempi di pagamento, rappresenta per il distributore una sorta di autofinanziamento che non è indice di efficienza organizzativa.( anche se molti lo interpretano come un momento di forza contrattuale che si riesce ad imporre all’industria). Francesco , cita la continua nascita di centri commerciali ( che tali non sono ) che mette in difficoltà l’esistenza dei piccoli punti vendita, che spesso, rappresentano l’unica possibilità di acquisto a ” km zero”. Purtroppo, la logica che da vita a queste grandi strutture non è quella della copertura di un bacino di utenza libero o di penetrazione in un mercato poco qualificato, bensi si basa su una logica IMMOBILIARE.Ogni volta che un distributore si è messo a fare l’immobiliarista gli effetti sono stati catastrofici. Sul campo sono rimaste solo macerie. Il sud italia ( e non solo), soffre di nanismo in tutti i sensi.
    Permettetemi una battuta per sdrammatizzare: e se invece di essere il sud dell’Italia, diventassimo il nord dell’ Africa?

  8. Ciao, per quanto riguarda il sigma,non so se e’ realmente in crisi ma credo che gli ex punti vendita sisa non si sono avvicinati a sigma in quanto oramai se sparsa la voce che sigma non e in buone acque, in quanto lo dicono anche i fornitori che hanno le forniture bloccate.
    Per quanto riguarda le nostre difficolta hai pienamente ragione siamo troppo piccoli per essere favoriti da qualche gruppo della gdo.
    Ma alcune volte mi viene da pensare che non c’e’ un gruppo solido che riesce a sostenere il fatturato degli ex sisa calabria,mi scuso per gli errori.

  9. Raul uno dei migliori indicatori, un indicatore è una semplificazione di una realtà complessa ricordiamocelo, è il ROA cioè il profitto sugli aseets in Italiano la possiamo tradurre così:
    Redditi / (Magazzino +(crediti verso clienti – debiti verso fornitori) + macchinari-impianti etc.
    In sostanza valuta quanto la performance dei beni investiti nell’attività core della società e spiega anche perchè sempre più spesso i distributori si muovono in un certo modo, poi dipende come questo muoversi sia fatto bene o male

  10. Ringrazio per i commenti riguardo Sigma Calabria. Trovo assolutamente esatte le vostre opinioni sulle dimensioni delle aziende, dei punti vendita, sulla scarsa capacità finanziaria. Ma esiste anche un problema di logistica poco sviluppata, ancorata a schemi copiati presso aziende del nord (spesso non proprio all’avanguardia). Mi riferisco alla logistica fisica, pallets, rollcontainers, autocarri attrezzati, ecc.

  11. roberto è come sempre un insieme di cose, io qualche mese fa ho scritto che la logistica potrebbe essere un punto di collaborazione tra industria e distribuzione, secondo i principi della supply-chain, cose che all’estero sono la normalità qua sembrano fantascienza

  12. Raul ha scritto ieri che un guaio della distribuzione italiana e meridionale sta nell’importanza che si assegna all’aspetto immobiliare. Spero di non aver capito male. Se ho capito bene, sono molto d’accordo con lui. Ma non si tratta solo di quello, per me. Mi spiego ricorrendo a un’esperienza estera. Il grande e solidissimo Intermarché francese circa 6 anni fa entrò in crisi, sembrò allora, per il semplice motivo che il negoziante-padroncino-socio aveva aperto più ipermercati in modo che lo obbligò a occuparsi principalmente del problema strutturale (finanziario, di acquisto, di assortimento caratteristico e differenziato ecc.), cose tutte importanti, ma non facenti parte del suo “mestiere”, come dicono i francesi. E il “mestiere” del dettagliante è appunto quello di essere vicino ai suoi clienti, che sono fonte non solo di guadagno, ma anche di conoscenza del mercato che crea ai combiamenti reazioni puntuali e adeguate. E così, stando a commentatori francesi dell’epoca e alla stessa centrale associativa ITM, i soci fecero saltare in blocco e di pacca tutta la mitica e storica governance. E ricominciarono la ripresa da lì (e non solo dall’abbandono della Germania, che aveva smunto grandi risorse finanziarie, sempre difficili da recuparare per un gruppo associativo e lontana dalle abitudini d’acquisto francesi), nel ritornare all’interno del punto di vendita. Eppure Leclerc, suo fratello maggiore tradito in quanto giudicato poco imprenditoriale,aveva messo chiaramente nei suoi statuti la clausola che i suoi associati non dovevano superare il numero di tre punti di vendita di proprietà, clausola che vige tutt’ora e che anche qualche gruppo Conad ha messo nei suoi regolamenti. Penso che questa analisi (“Beato colui che impara a spese altrui”, diceva il nonno) dovrebbe almeno far riflettere un po’ anche la distribuzione associata del nostro meridione. E vedere se, per caso, il dimenticarsi di essere “bottegaio anzitutto”, cioè di essere empaticamente coinvolto con la vita e le attese dei suoi clienti, non sia ancora un aspetto molto importante se non addirittura il clou della sua imprenditorialità, affidando alla struttura associativa regionale o nazionale gli altri problemi che richiedono specialisti di grande competenza. E’ forse questo uno dei motivi (ritorno sul concetto) per cui nel nostro meridione la grande distribuzione (Coop inclusa) si sente spiazzata ed è restia a impegnarsi direttamente, Non per nulla ricorre volentieri ai master franchising (Auchan e Carrefour in prima linea: da francesi hanno fatto tesoro di un’esperienza loro?).

  13. Aristide, il problema immobiliare è per gli attuali padroni di carrefour, fondo blackstone e Arnault, un mero problema finanziario hanno comprato carrefour perchè aveva tanti immobili iscritti nel bilancio negli anni, e che con la crescità dei valori immnobiliari del 2006 – 2007, era un ottima opportunità.
    Il piano era semplice compro carrefour, faccio uno spin off vendo gli immobili e li riaffito a carrefour, creo un bel profitto e poi me ne esco.
    Peccato che la crisi immobiliare ha ridotto i valori e soprattutto la crisi del credito ha ridotto a zero i possibili compratori.
    Per inciso è quello che ha fatto Tronchetti con gli immobili Telecom, palazzi del centro delle città che valevano a bilancio poche centinaia di migliaia di € ma con un valore di mercato enorme.
    Ora Aristide uno dei punti deboli dell’imprenditoria italiana e del sud in particolare è la scarsa patrimonializzazione, per cui se questi servono a rafforzare la struttura dell’impresa è ok, se invece si smette di fare i commercianti e si pensa di fare gli immobiliaristi si rischia di finire con il farsi male.
    Poi che coop e gli altri abbiano fallito al sud, chiama in gioco due ulteriori elementi, il primo la scarsa conoscenza oppure chiamiamola miopia, in Coop parlando a ruota libera si dice chiaramente che andare con gli Iper, è stato un errore, perchè per ragioni socio – economiche lo stesso non è il migliore formato per il territorio, meglio i superstore.
    Ma e qui nasce il secondo problema, il malaffare sulle licenze e la criminalità organizzata, spesso non hanno lasciato altre strade.
    Che poi a questo si sia aggiunto, ma questo è un fenomeno nazionale, la scarsa attenzione al localismo di certe insegne, Carrefour su tutti, ad Etnapolis, mi ricordo ancora il lineare dei vini con 2 mt di spazio dedicato ai vini Veneti, ottimi prodotti intendiamoci, ma credo che anche i sassi sappiano che i Siciliani bevano altro.

  14. sottoscrivo parola per parola aldo.
    E mi ricollego al mio cavavllo di battaglia: l’inadeguatezza di una latga fetta della dirigenza gdo attuale.
    Non son in difficoltà i modelli gdo è la dirigenza incapace.

  15. Se tutto va bene siamo rovinati,secondo me la verità è che nessuno più lavora con la DOVUTA RESPONSABILITà,credendo di avere un posto statale.

  16. Per vedere quanto è serio il cedi az bisognerebbe chiederlo agli imprenditori affiliati, passati e presenti. Andare a verificare le modalità di pagamenti, ordini merce e marginalità d primo livello. Dulcis in fundo, obblighi ( tanti ) e diritti ( solo quello di fare silenzio.
    Per quanto riguarda le incapacità delle dirigenze, alcuni personaggi girano da anni da una all’altra organizzazione, senza combinare nulla di buono da nessuna parte. Venditori di fumo, che purtroppo vengo tenuti in alta considerazione. E le nuove leve ( o coloro che si credono tali ) non è che siano di meglio.

  17. ma qust è il problema dell’economia spa di importazione americana.
    che serietà può avere un sistema in cui un ad salta ogni 3-4 anni da un concorrente ad un altro? che garanzie può dare?
    un sistema dove nelle spa nn si capisce chi comanda?

  18. Franz, guarda che si possono fare critiche al sistema americano, ma non quello che non sia chiaro chi comanda, gli azionisti, che ogni trimestre ricevono tanto di bilancio che se l’azienda fa utili anche dividendi.
    Non fai dividendi o fai cose che non piacciono agli azionisti alla porta, con tanto di buonauscita concordata all’inizio e non alla fine del rapporto di lavoro.
    Parliamo di dirigenti, gente che con le proprie decisioni decide la vita di migliaia di persone, credete che l’amministratrice di Kraft dorma sonni tranquilli, quando hanno comprato Cadburry, Buffet socio con il 10% dell’azienda ha detto che stavano pagando un prezzo troppo alto.
    Ora se nel giro di un anno, l’investimento si dimostra profittevole, Buffet sta zitto, sennò gliene chiede conto.
    I soldi li mette lui mica lei.
    Noi Italiani dobbiamo impaare senza alzare la voce o fare piazzate a chiedere conto di come vengono investiti i nostri sudati soldi, o va sempre comunque bene.
    Inoltre più un’azienda è grande ha oltre a quelle economiche anche resposnabilità di tipo sociale, pensate che cosa è il fallimento del CEDI SISA in Calabria, centinaia di perosne senza lavoro, piccoli imprenditori che hanno perso il frutto di una vita di sacrifici, ecco perchè se un manager fa male il suo lavoro è giusto che lasci spazio ad altri.

  19. Leggo con interesse tutti i vostri commenti e mi vorrei soffermare su un tema specifico:

    L’inadeguatezza del management attuale in GDO

    L’Italia ha due problemi di fondo che vanno analizzati profondamente se vogliamo capire il problema e provare a trovare una soluzione: il primo è ( sarebbe interessante scrivere un articolo su questo) l’evidenza dei fatti che vede il sistema cooperativo italiano detenere circa il 30% di quota di mercato nazionale della GDO. I manager del sistema cooperativo sono personaggi che nascono e muoiono dentro le aziende di appartenenza o si smistano in cooperative similari, salvo rari casi. A quei manager è richiesto prima di tutto fare bene politica dentro la cooperativa , poi sviluppare l’azienda, ma non troppo sennò dai fastidio. Il secondo problema è quello della facilità del mercato del passato, che ha creato una generazione, che continua a dominare, di personaggi ritenuti manager ma che non hanno né appropriati studi a supporto, né conoscenza del mercato europeo che ci circonda e ci minaccia. I manager della DO italiana, quando sono ascoltati dagli imprenditori, appartengono ad una generazione dove vivevano schemi di gestione propri di un mercato feudale, com’era quello degli anni ’80-’90 e che nulla hanno a che vedere con gli attuali problemi determinati da un profondo cambio del consumatore, da una globalizzazione incessante e da una crisi che accentua i due fenomeni di cui sopra. Se l’imprenditore della DO, o il management delle centrali nazionali avessero un cambio generazionale, determinato sulla base di criteri di scelta di tipo professionale, probabilmente ci sarebbero più persone pronte a mettersi in discussione nel caso in cui non venissero raggiunti i risultati, ma dall’altro lato proverebbero a trovare soluzioni simili a quelle che ho descritto nel mio articolo.

  20. Dr. Meneghini quello che lei traccia a livello di cooperative e di Do è purtroppo a mio avviso esteso a gran parte della Gd ed ad una gran parte del sistema imprenditoriale italiano.
    La meritocrazia, a gran voce richiesta, fa a pugni con una cultura di paese di spinte, relazioni etc, per stare a livelli proprio bassi, non mi capita di sentire un genitore ammettere che il figlio è svogliato pigro insomma che non si da da fare, ma che è colpa della scuola dell’insegnante, del tempo.
    Siamo il paese delle scuse e del ben altro.
    Non siamo peggiori o migliori dei Francesi, Tedeschi o Americani, anzì quando lavoriamo con loro spesso siamo più bravi proprio perchè abituati ad arrangiarci e a non mollare mai.
    Tornando al tema della managerialità, in Italia non esiste se non in isole felici, perchè l’innefficienza genera posti di lavoro, deresponsalizza etc.
    Parlando di IDM e GDO, rispetto solo a dieci anni fa le personde che incontriamo sono o giovani laureati, che senza una presenza ed una esperienza sul capo sono meri esecutori di quanto deciso nei piani più alti con meri obiettivi finanziari, oppure persone che hanno una visione del mercato di ancora 5 anni fa, che con tutto quello che è successo e sta succedendo rappresentano dei secoli.
    Ci vuole un cambio di generazione e di modo lavorare fondato sul fare sullo zero scuse, sembra una guerra contro i mulini a vento ma sono fiducioso che si possa vincere.
    Un primo tema di prova potrebbe essere category management o la supply chain, chissà se dopo tante paroel seguiranno i fatti,

  21. La parola meritocrazia servirà a riempire pagine di giornali, aprire lunghi dibattiti ma resterà sempre una parola senza contenuto. Aldo è vero, nessuno dirà mai: HO SBAGLIATO, oppure E’ COLPA SOLO MIA. Manchiamo di una vera coscienza critica, manchiamo di una vera coscienza e responsabilità sociale. A colmare queste mancanze abbiamo fortemente sviluppato la “dote” dell’arte dell’arrangiarsi, la quale serve a tamponare, ma non serve a ” generare”. Non siamo migliori o peggiori di nessuno, questo è vero, semplicemente scegliamo la strada più corta e più semplice. Come direbbe un qualsiasi professore: il ragazzo è intelligente ma non si applica. La colpa e del ragazzo che non si applica ( sicuramente si ), ma il sistema che lo circonda, gli esprime esempi positivi, realmente positivi,modelli sociali, comportamenti etici da seguire?

  22. qualcosa che non andava in coop italia forse c era visto che il nuovo comitato di gestione ha cambiato 5 membri su sei all inizio del 2010

  23. Raul, hai ragione, ma è un circolo vizioso, aspettiamo che la società cambi, o proviamo a cambiarla noi per primi come individui.
    La famosa frase di JFK, non chiedere allo stato cosa può fare per te, ma tu cosa puoi fare per cambiare lo stato, può essere retorica, ma è uno degli elementi su cui si forgiano certi tipi di società.
    Io ho visto tanti Italiani, andare all’estero e diventare responsabili, banalmente fare la fila, poi con l’arte dell’arrangiarsi sapersi muovere meglio, inteso nel senso che siamo più smaliziati, per esempio capire al volo come girano le cose e sapersi adattare.
    In sostanza provando a ragionare non come schemi meccanici (fisica meccanicistica), ma quantistica, nel senso che facciamo parte di un ambiente, che ci condiziona ma che lo condizioniamo a nostra volta forse qualcosa di utile la riusciamo a fare.
    Senza spirito d’insegnare nulla, ti consiglio di leggere un libro che si chiama “è la matematica bellezza, la teoria dei giochi applicata all’economia e alla sociologia”.

  24. rispondo ad aldo:
    mi scusi ma se dobbiamo nascondere la testa sotto la sabbia va tutto bene altrimenti certe cose balzano agli occhi.
    Il sistema IDEALE è quello da lei descritto, il sistema reale è quello della finanza creativa e dei bilanci visti dai diversi punti di vista.
    Cercate di capire che gli azionisti, salvo alcuni benemeriti casi, nell’economia liberista figlia delle follie dei neo-con
    NON CONTANO UNA FAVA.
    Se vuole le faccio 1000 esempi di investimenti e bilanci fatti ingoiare agli azionisti come ECCELLENTI e poi rivelatisi dei crack quasi in atto.
    Io nn critico il sistema americano, non sono un pazzo, critico il sistema americano degli ultimi 15 anni e l’abitudine tutta italiana di importare le peggio cose dall’estero e liberarsi , invece, degli aspetti positivi( che diff. di pena c’è tra usa e italia per bancarotta fraudolenta?)
    Le spa attuali e la loro governance attuale, le loro regole, sono DEVASTANTI per l’economia e qst crisi è solo uno dei sintomi.
    Nel mondo ideale sono tutti responsabili delle proprie azioni, nel reale obama (e danoi tremonti) nn riescono a riformare la finanza e regole societarie perchè attualmente fanno troppo comodo ai big.
    Sottolineo , infine, pieno apprezzamento al commento del dott, Meneghini sulla dirigenza e alla successiva analisi di aldo
    grazie

  25. Franz, che dire forse nel mio successivo post le ho risposto, la mia e la sua sono due visioni all’opposto, le posso dire che nel modello americano, seppur imperfetto, Goldman sachs si è dovuta e si sta difendendo dalle indagini degli organi di controllo, avendo avuto l’ex presidente come ministro del tesoro nel momento della crisi, si vede che un pochino di capacità di autopulirsi quel sistema ce l’ha.
    In Italia abbiamo un banchiere sotto processo per banacarotta fraudolenta per il caso parmalat che è diventato presidente dell’unico vero player bancario assicurativo di livello che abbiamo.
    Insommma in caso di condanna è come se Bank of America mettesse Maddoff come CEO.
    Non voglio essere saccente ma questa osservazione la legga come dettata dal buon senso, ma se uno fa l’azionista e non è capace a leggere un bilancio, a fare domande o altro non è un pò anche colpa sua se lo fragano.
    Il gioco delle tre carte è una truffa ma un pò pirla come si dice dalle mie parti è anche chi vi gioca.

    Poi l’argomento è troppo complesso per parlarne e scriverne per post, come ho fatto in passato se ha piacere, richieda la mia email alla redazione o tramite loro mi faccia avere la sua e con piacere ne possiamo parlarne e scambiarci idee.
    Un ultima nota Warren Buffet è il tipo di azionista che mi piace se ha piacere le faccio avere gli estremi di come legge il bilancio e cosa va a vedere sono 160 pagine, dovrebbero farlo studiare alle elementari, è di una semplicità disarmante ti dice cosa vuole dire ogni voce di stato patrimoniale e conto economico e di come certi valori suonino strani per cui da certe società è meglio starne alla larga.

  26. Ciao Aldo, faccio solo un passaggio veloce per chiederti l’autore del libro da te consigliato. Non mancherò di leggerlo.
    Grazie e a presto.

  27. L’autore è Tom Siegfried: il titolo è : “e’ la matematica, bellezza! John Nash e la teoria dei giochi”
    Bollati Boringhieri editori
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  28. Ho letto con molto interesse l’articolo e tutti i vostri commenti successivi e sono sempre più convinto di una cosa: in Italia, paese da sempre in ritardo nel processo di modernizzazione distributiva, il vero cambiamento a livello distributivo potrà arrivare solo dagli attori forti che in questa situazione vengono sempre più penalizzati:I grandi produttori Industriali e le loro grandi marche. Prima che il management distributivo si orienti verso un maturo salto di qualità,io penso che i grandi produttori con un portafoglio prodotti diversificato(P&G;Unilever;Barilla;Baiersdorf;Ferrero…)comprendano la possibilità di integrarsi a livello discendente nella catena distributiva.E’ senza dubbio una scelta rischiosa che può essere contestata col classico riferimento all’immobilizzazione del capitale,agli elevati costi fissi di una propria rete distributiva(a parziale rimedio di ciò può essere adottata una formula in franchising), ma non più utopistica come un tempo. Forse mi sbaglierò ma l’apertura di nuovi PDV di proprietà industriale non è più una opzione da scartare a priori perchè vedo più facile una partnership tra diverse marche che un accordo Sincero e Duraturo tra marca ed insegna.Ho voluto esprimervi un mio parere e sono pronto a sentire eventuali vostre critiche al riguardo; è come una partita a scacchi e questa iniziativa dell’industria potrebbe presentare una reale minaccia nei confronti del trade.

  29. ci sono pregiudiziali dell’antitrust…..se produci e vendi solo roba tua siamo a limite della legalità….se vendi anche altri prodotti del tuo settore tanto vale il “vecchio” iper.. e poi ….chi vi dice che nel paese degli amici degli amici e dei cartelli e dei volemose bene alla fine i prezzi nn vadano ad uniformarsi…nn sarebbe la prima volta…….così magari ci vedremo di nuovo il buon Barilla andare da vespa e giustificare gli assurdi aumenti(con materie prime in aumento e in ribasso…) della sua ditta dicendo che loro facevano ricerca (!!!!!)….poi a crollo dei mercati …….la verità….nei trafiletti di giornale…avevamo sbagliat investimenti..dobbiamo tornare al core business dll’azienda…se nn avessimo aumentato saremmo falliti ecc. ecc..
    e con qst vorremo cambiare il settore dell distribuzione…..ma lasciamo perdere……NN sono gli oggetti che nn funzionano sono i soggetti…..nn confondete le due cose…

  30. Vi invito a leggervi l’articolo apparso sull’espresso al rigurado delle perdite sui derivati di coop nordest.
    Perdite peraltro iscritte a bilancio, mi sorgono una serie di domande:
    1) una cooperativa può investire in tali strumenti che sono puramente speculativi o per statuto dovrebbe attenersi ad investimenti meno rischiosi?
    2) quante altre società hanno giocato con il fuoco e si sono bruciate?
    3) Una cooperativa che agisce così che differenze ha da una qualsiasi altra società di capitali?

  31. Franz non c’è nessuna pregiudiziale dell’antitrust, sennò i negozi monomarca non esisterebbero, vedi Benneton, Mcdonald etc.
    Il punto è la convenienza economica, ma se oggi lasci alla gdo il 50% del tuo margine, a qualcuno l’idea di vendersi i prodotti da solo sta venendo.
    Le trattorie da Giovanni perchè pensate che siano nate, tra le altre per questa ragione.

  32. Bhe che Coop Italia sia una cooperativa ma si possa considerare alla stregua di una società succursalistica e capitalistica non ci sono dubbi.Per quanto riguarda le risorse investite al di fuori della gestione caratteristica forse la risposta sta negli indici di reddittività del settore distributivo;io non ho precisi dati in merito ma non so quante insegne possano contare su di una remunerazione del capitale soddisfacente.Pensano allora di darsi anche loro a questa “finanziarizzazione dell’economia” attratti dai rendimenti facili.Molti però non tengono in considerazione che TANTO PRENDI-TANTO RISCHI e l’euforia iniziale lascia spazio a strascichi devastanti.
    Grazie a franz della risposta e penso che una moria generale dei soggetti inadeguati non sia però possibile, quindi bisogna trovare altre soluzioni.Ancora una volta però sostengo la forza del consumatore-acquirente che non manca di bocciare o premiare pdv più o meno adeguati alle sue esignze:io a questo continuo a crederci.

  33. Il mondo e il modo in cui si muovono le coop,anche se in modo un po romanzato, è descritto da Caprotti nel suo libro Falce e Martello.Per società che girano miliardi di capitali è difficile parlare di coop. Non mi pare proprio che la la coop sia una società che conserva lo spirito legislativo delle società di mutuo soccorso. Ogni tanto ( spesso ) in italia succedono queste cose: una legislazione nata per garantire determinai organismi, nati in un certo periodo storico, continua a vivere anche quando questo periodo è oltrepassata da un secolo e quelle condizioni socio-economiche esistono solo sui libri di storia.
    Come può non definirsi società di capitale una organizzazione che domina il mercato della distribuzione? Con che cosa lo sta facendo, con le zucchine?
    E poi guardiamo i vari organi e consigli che le gestiscono. Non mi pare che dentro ci sta la sig.ra Peppina o il calzolaio socio-consumatore della coop.
    Credo che molti ultimi disastri, abbiano un qualcosa che li lega alla finanza innovativa dei derivati. Ma non conviene dirlo, si farebbe la figura del pirla. Come sono anche convinto che l’ondata della finanza spazzatura, non sia ancora finita. Solo che non se ne parla più.

  34. Cercando di non denigrare nessuno, ma dalle informazioni in mio possesso sembra che anche l’altro gruppo della distribuzione reggino abbia problemi di carattere finanziario e già qualche punto vendita risulta a corto di merce, o chiuso.

  35. Caro Aldo siamo alle solite. Le voci, purtroppo risultano vere. La causa, sembrerebbe essere un investimento immobiliare alquanto oneroso. Un altro centro commerciale che si aggiunge ad un territorio oramai saturo di centri o parchi commerciali vari. Auguro cheil gruppo riesca ad uscire dallo stato di crisi, diversamente il reggino diventerebbe terra bruciata dove l’industria non sarebbe più disposta a rischiare. Agenti venditori delle varie industrie di marca, lamentano impossibilità a vendere ( e di conseguenza a raggiungere gli obiettivi prefissati dall’industria ) in quanto le assicurazioni hanno ridotto o annullato il plafond di fido. Di questo passo le merci perverranno ai punti vendita o ai pochi gruppi rimasti, solo su pagamento anticipato. Come vedi, il cane che si morde la coda.

  36. Caro Raul, mi confermi quello che per prudenza non avevo osato scrivere, quello che sia nel caso del Cedi Sisa che in queto caso sia il fatto che il dissesto finanziario si sia creato e che ora nessuno voglia intervenire, sappiamo che purtroppo le imprese italiane operano per sottocapitalizzazione sempre in molti casi con capitali di terzi, banche, ora se l’investimento era sbagliato non bisognava finanziarlo, se invece aveva un senso ma il passo a causa della crisi risulta più lungo della gamba bisognerebbe sostenere l’impresa nel momento di difficoltà.
    Ma forse si lucra solo sugli interessi degli scoperti, e anche l’imprenditoria bancaria, è un retaggio del passato che fu.

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