L’editoriale del direttore Luigi Rubinelli in anticipo su GDONews, che vi invita a leggere Mark Up

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Dice Andrea Illy che bisognerebbe passare da una financial company a una stake holder company che metta al centro della sua attività un nuovo pensiero basato su: contenuti estetici, valori di sostenibilità, contenuti di servizio e di conoscenza. Ben detto. Ma quante Illy ci sono in Italia che dell’innovazione economica, sociale e di prodotto hanno fatto il loro, vero, credo?

Low cost, spirito del tempo?
Nella business community tiene banco la discussione sulla crescita delle store brand, la fisiologica diminuzione del peso delle grandi marche, l’avvento del low cost. Quest’ultimo è ormai sinonimo di promozione o di prezzo basso ed è un errore culturale considerarlo solo come tale e parlare diffusamente di low cost pensando ai factory outlet (che sono un canale di vendita), il discount (altro canale) o le vendite a prezzo ribassato on line (altro canale di vendita). Difficile prendere posizione in poco spazio su tempi che hanno un impatto economico, commerciale, sociale e di consumo. La letteratura entusiasta a favore del low cost trova pane per i suoi denti e ricorda la complessità di un sistema più equilibrato e democratico, “di tipo win-win anziché lost-lost” (definizione azzeccata di Giampaolo Fabris). Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, ha preso posizione durante un convegno promosso dalla Fondazione Ernesto Illy a proposito dell’aumentata concorrenza di prezzo: “Se è spinta oltre certi limiti genera conseguenze negative non solo per le imprese, ma anche per il consumatore e l’intero sistema. Produce infatti una diffusa perdita di attrattività e di banalizzazione dei beni offerti; ma anche difficoltà di percezione del loro valore reale, una perdita di priorità nelle decisioni di spesa, una diminuzione delle risorse disponibili per l’innovazione, per la comunicazione e quindi per la crescita. Se poi si attenuano i vincoli imposti dalle leggi o le garanzie dell’IDM e delle store brand, si aprono preoccupanti aree di rischio per gli standard di qualità e affidabilità dei prodotti”. Robert Reich, già sottosegretario al lavoro Usa e docente universitario crede che siamo arrivati a un passaggio delicato dove la saldatura degli interessi dei consumatori con quelli degli investitori finanziari che esigono ritorni delle loro operation in tempi sempre più brevi minano alla base il capitalismo democratico che conosciamo bene. Professore come possiamo darle torto?

Distretti e formati rivoluzionari
Negli ultimi tempi ci sono due innovazioni che la business community sta discutendo, una pubblica e una privata. I distretti in Lombardia. In questa regione è in atto una piccola rivoluzione. È iniziata il 22 ottobre del 2007 e sta proseguendo a passi da gigante. I nuovi distretti del commercio sono di due tipi: quelli all’interno dei comuni capoluogo o Distretti urbani del commercio, del turismo e dell’artigianato (in acronimo Duc) e i distretti diffusi che insistono sugli altri comuni (Ddc). Con questa operazione la Regione mette d’accordo il grande con il piccolo, gli interessi generali con quelli particolari, le associazioni e le singole imprese di qualsivoglia dimensione e, soprattutto, territori che un tempo erano divisi fra loro, come quelli montani (i più ovvi) ma anche piccole porzioni di città, già organizzati in passato dalle associazioni di via. I distretti avranno la possibilità di organizzare la vita commerciale dei territori di loro competenza in materia di coordinamento di orari e giorni di apertura, un tema, com’è ovvio, delicato ma che partendo da una nuova authority può dare soluzione a più di qualche controversia-problema. La Regione è riuscita in un’impresa tutt’altro che semplice mettendo attorno a un tavolo i protagonisti politici, sindacali e imprenditoriali con un risultato diversa dal town center management, tanto caro a diversi paesi europei. Curiosamente l’unico comune che non ha ancora aderito al progetto con una propria domanda è il Comune di Milano, impegnato non si sa dove-altrove, ma probabilmente non tarderà ad aderire a una piattaforma del buon senso più che dell’appartenenza-giochi di potere. Unici nemici: la governance nel tempo e l’ampiezza dei distretti diffusi, che devono essere rivisti nel tempo.
. I formati di Fontanafredda. Solo un visionario come Oscar Farinetti poteva mettere del barolo in bottiglie da ½, 1 e 1 ½ litro. Il mercato gli sta dando ragione. Oscar ha rincarato la dose: via la chimica dai vini di Fontanafredda, viva la sostenibilità.
Luigi Rubinelli

8 Commenti

  1. Il concetto di stakeholder, che comprende non solo gli azionisti, ma anche i lavoratori, i fornitori, i clienti, lo stato e in senso più lato l’ambiente dove l’impresa opera è un concetto molto sentito nella cultura d’impresa anglosassone e lo era con differenti sfumature anche in quella italiana, per intenderci il legame esistente tra la Olivetti di Adriano Olivetti ed Ivrea e tra la Dalmine “ora Tenaris” e Dalmine.
    Credo che questo concetto e le responsabilità verso gli stakeholder che questa visione implica sono molto giuste, e valgono oggi a mio vedere anche per la grande distribuzione oltre che per l’industria.
    In un bellissimo libro “effetto Wal-Mart” l’autore si pone la questione se un’impresa crescendo di dimensioni, ed in questo caso parliamo di un impresa che vale il 33% del fatturato del largo consumo negli USA, possa solo guardarsi dentro e guardare solo: MOL, Ebit ed Ebitda, o che proprio perchè una grande azienda, che può cambiare la vita di città, contee e stati, che può stravolgere l’ambiente, non debba guardare quando fa business anche al di fuori di se stessa.
    La risposta è si, e l’autore fa un bellissimo esempio quello di u bambino di 5 anni che salta in braccio al padre, e lo stesso gesto ripetuto dopo 20 anni, pesando il bambino oggi 100 kg.
    Intenzioni e gesto sono gli stessi, cambiano gli effetti perchè le dimensioni sono diverse.
    Venendo all’Italia, visto il diverso sistema imprenditoriale,il 95% delle imprese italiane ha 5 dipendenti, anche se non istituzionalizzato ma queste tipo d’imprese ha già questa visione, bisogna lavorare quindi solo sul restante 5% delle imprese e sulle società pubbliche e la pubblica amministrazione.
    Attenzione però questo non deve essere un laccio burocratico, l’ennesimo foglio o piano che si deve fare ma che poi si dimentica, ma deve divenire una leva su cui costruire un vantaggio competitivo sostenibile che premia l’azienda in termini di rapporto qualità/prezzo andando a catturare sempre di più quei consumatori che cercano un valore aggiunto diverso dal solo prezzo.
    Oggi sento parlare come ineluttabile il trionfo della Cina sui mercati mondiali, sarà così, però io qualche dubbio me lo pongo conoscendo bene questa realtà, semplificando al massimo le cose oggi in Cina: le relazioni tra datore di lavoro e dipendenti sono da anni 20 in europa, prima o poi qualche rivendicazione scatterà, idem le relazioni tra fornitori e clienti, gran parte del vantaggio competitivo è il prezzo, temi come l’inquinamento e la social responsability, non sono presi in considerazione, ma come la polvere nascosta sotto il tappeto prima o poi è destinata a saltare fuori.
    Anzichè pensare di andare noi verso loro come modello sociale, per essere competitivi, dobbiamo scommetere che loro si avviceranno a noi e quindi di pensare di fare un passo avanti e non due indietro.
    I miei amici cinesi quando vengono in Italia, criticano la nostra lentezza nel fare le cose, ma ci invidiano la qualità della vita e dell’ambiente, può sembrare banale ma non lo è anche perchè ricordando Maslow, ma la soddisfazione dei bisogni primari è condizione necessaria ma non sufficiente per essere felici

  2. il consumatore italiano sta secondo me cambiando non compra piu con i “paraocchi” ma essendo diminuito il suo reddito fa dele scelte di acquisto diverse da aquirente ad aquirente c e chi sceglio di privileggiare gli acquisti nel settore dell elettronica chi nel settore food chi si informa prima di acquistare qualsiasi cosa c e chi compra lòe stesse marche da venti anni ed non e disposto a nessunn motivo a rinunciarci per motivi di gratifica negli ultimi tempi le varie categorie di acquirenti stanno travasandosi da una ad altra categoria il cambiamento sta diventando quasi frenetico negli ultimi mesi la spinta ad aquistare un articolo di un certa marca sia pl odi marca puo essere e molto ponderato o istintivo l industria di marca deve capire questo cambiamento del consumatore ed variare i suoi obbiettivi se vuole stare sul mercato facendo una ricerca su cosa il consumatore affezzionato e disposto a rinunciare sulla pubblicita marcheting per ridurre il prezzo ma avere una qualita di prodotto acui apira comprando quel prodotto secondo me il consumatore ricosce ad un prodotto il prezzo della qualita pura non la parte voluttuaria del prodotto stesso

  3. Mario, le aziede investono grandi cifre in ricerche di mercato, e consumer test, ma la certezza del successo di un prodotto non è nemmeno così sicuro.
    Perchè ci sono variabili imponderabili, quali il tempo di arrivo di un prodotto sul mercato, troppo presto o troppo tardi.
    La copertura di un bisogno che il consumatore esprime, ma che poi viene coperto da un altro prodotto apparentemente non in diretta concorrenza con quello preso in considerazione.
    Una ricrca sui consumatori fatta 6 mesi può, per certe categorie merceologiche ad alto contenuto d’innovazione, essere già vecchia.
    La tua visione sul marketing ed il consumatore, mi sembra su molti punti molto superficiale e frutto di tue impressioni più che da dati di fatto.
    Per comprendere la complessità della cosa prova ad immaginare un quadrante che rappresenta il consumatore, che si divide in sezioni sempre più piccole con bisogni diversi, per cui la marca deve all’interno di una sua coerenza di marca inviare messaggi diversi per intercettare il maggior numero di consumatori, dall’altro il famoso quadrante che rappresenta i prodotti in: 1) ? cioè nicchie di prodotti ad alta reddittività ma che producono piccoli volumi (in alto a destra) dove le imprese investono con la speranza che si spostino a sinistra 2) stars prodotti che fanno volumi elevati con una buona redditività ( in alto a sinistra) dove le aziende inizianoa rientrare degli investimenti 3) cash cow, grandi volumi e margini discreti, l’azienda trova le risorse per investire nei due precedenti quadranti (in basso a sinistra 4) Dogs, bassi volumi, bassi margini, prodotti che vengono dismessi.
    Ora tieni conto che su 10 lanci è un successo che 2 prodotti diventino stars.
    Un ulteriore ragionamento che voglio mettere sul campo è il seguente, quanto delle inefficienze del distributore, sono pagate da Industria e consumatori.

  4. come reagisce idm con un numero crescente di consumatori con meno quattrini da spendere se non vuole lascire tali consumatore nelle mani delle pl ed dei primi prezzi le descizioni tecniche sono affascinanti ma senza lilleri non si lillera e per quanti anni davanti a noi la situazione rimarra cosi c e chi dice che i livelli dei consumi del 2007 in italia non saranno mai piu raggiunti c e un economista francese serge lathusche che afferma che nei prossimi anni si evolvera un consummo piu frugale attento alla sostanza e piu frugale

  5. Mario, come reagisce l’IDM?, te l’ho spiegato sopra segmenta, innova, vuoi un esempio, prendi Danone, leggiti il suo bilancio di 5 anni fa e quello di oggi, leggi da dove vengono i fatturati ed i profitti e avrai una chiara idea di ciò che dico.
    Guarda che business ha ceduto, quelli che ha acquisito, Danone nel suo è una splendida case history.
    Se vuoi passiamo alla categoria yogurth, quanti mt lineari avevano 5 anni fa i vari tipi, bianco, frutta, grassi, funzionali, probiotici, ed oggi, quanto spazio la PL, il primo prezzo ed oggi.
    Eccoti altre risposte, scusa il tono, ma non vuole essere offensivo solo che colpevolmente sono un pò di corsa e non riesco ad esprimere i concetti se non essendo brutalmente diretto.
    Mi permetto, di fare ancora il professore che non sono, ma anche qui non riesco ad esprimermi differentemente, non mischiare micro e macro economia, nel senso che Lathusche fa ragionamenti sulla parte macro dell’economia, giusti o sbagliati che siano i suoi ragionamenti, mentre quello di cui stiamo parlando fa parte della micro economia, che poi le due cose si legano è vero, ma dicendo una bestialità è come se parlassimo di fisica e chimica, certe leggi dell’una influenzano l’altra ma analizzare la chimica con le leggi della fisica è fuorviante.
    Facendo atto di modestia voglio dirti è che molte risposte non ci sono, nel senso che viviamo in un periodo in cui la velocità dei cambiamenti è così rapida che quello che valeva sino ad oggi domani non è più così, pensa che oggi ci sono imprese che non accettano di fare investimenti se hanno ritorni oltre i 18 mesi, se ci pensi è pazzesco ma è così.
    Oggi il tempo è il primo elemento di valutazione degli investimenti, Basilea 2 e la crisi finanziaria, hanno cambiato le variabili del sistema impresa, la prima parte dell’articolo su chi è lo stakeholder è la parte più rivoluzionaria, pensalo applicato anche alla GDO.

  6. io lavoro in un industria che fa parte di centromarca nel 2009 abbiamo avuto un anno record di produzione ma accettiamo ordini da chiunque si presenti private label italiane e straniere l importante e alzare il fatturato anche se pl rimane poco abbassa i costi generali se io fatturo 40 0 70 milioni di euro a fine anno le manutenzioni le devo fare in tutti e due le opzioni con costi uguali ma spalmate nel secondo caso su entrate maggiori le multinazionali nel nostro settore hanno messo in vendita in italia le loro aziende mentre noi abbiamo fatto fatturati record, il riso scotti fa il riso pl per coop ma vende a suo marchio il giusto mix italiano di aziende a capitale italiano e forse diverso dal modo operare delle multinazionale saro stato troppo semplicistico ma sono soltanto un operaio che da trenta anni lavora nel settore alimentare e mi occupo per diletto delle problematiche gdo essendo dentro il mondo coop come consiglire di sezione coop i dirigenti vengono a spiegare le dinamiche a dei poverti cristi celo vedfete capriotti che discute e parla con i suoi clienti

  7. Leggenda racconta che Caprotti al Sabato gira nei PV, ma fuori dalle leggende, ti dico che se lo facesse o lo facessero tanti imprenditori, direttori generali di aziende della distribuzione o dell’industria, tante cose funzionerebbero meglio.
    Io per esperienza lavorativa ho avuto la fortuna per lavorare per un azienda che da 0 è diventata la più grande azienda al mondo nel sui settore, il titolare morto a quasi 100 anni, in azienda, aveva l’abitudine e la faceva rispeattare a tutti i managers, di andare una volta alla settimana per punti vendita a guardare, il proprio settore ma anche altro, in modo che quando si faceva le riunioni si sapeva di cosa si parlava.
    Ti posso raccontare che un giorno mi affiancò nel mio giro clienti e pv, ti posso assicurare che quel giorno vale la mia laurea ed il mio master, a parte che aveva a 90 e passa anni la curiosità di un ventenne, e forte della sua età, riusciva a parlare con tutti con una tale umiltà e passione nell’ascolto che quel giorno valse per me oro in termini di conoscenza del mercato e dei clienti.

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