Aprire Ipermercati era un must sino a cinque anni fa; l’ipermercato era il riferimento di un qualsiasi retailer che avesse l’ambizione di conquistare quote di mercato. Anche Esselunga, da sempre fedele alla sua linea commerciale, aveva dubbi, alcune strutture erano al limite della tolleranza per beneficiare della dizione “supermercato”. Voleva rappresentare il palcoscenico di un grande teatro che avesse come rappresentazione l’acquisto, il punto di ritrovo delle famiglie che volevano passeggiare e fare shopping, il riferimento per i giovani che cercavano nuovi luoghi per “vascheggiare” e magari fare conquiste. Tutta Europa andava in quella direzione con l’eccezione dei Paesi Bassi dove il supermercato integrato ha mantenuto il suo prestigio anche in termini di carisma. Ancora oggi nei paesi dell’est è davvero singolare entrare in un Ipermercato, in un Auchan piuttosto che Tesco in Ungheria o un Ipercoop in Croazia: il parcheggio antistante il centro commerciale è strapieno, i caffè all’interno sono colmi di ragazzi e ragazze che trascorrono serenamente il loro tempo libero, grandi folle accolte da grandi strutture, poi magari il rovescio della medaglia è rappresentato dai carrelli, pochi, semi vuoti anche a causa del limitato potere d’acquisto delle famiglie. Però l’obbiettivo di creare traffico con le grandi gallerie è sempre stato un dovere per tutta la distribuzione. Oggi, anzi da qualche anno ormai, il format è entrato in crisi, causa l’eccessivo affollamento alle casse, le lunghe code, la confusione determinata talvolta da assortimenti troppi profondi, ma soprattutto l’eccessiva apertura di strutture così grandi ha provocato uno stallo preoccupante, con una forte diminuzione della produttività per metro lineare. E’ un fenomeno in atto, si intende, pertanto sono diverse ancora le situazioni che presentano risultati opposti a quelli sopra citati, ma i grandi retailers sono già al lavoro per apportare le necessarie modifiche. Due sono le direzioni da intraprendere, da un lato Auchan sperimenta la formula di Iper discount, già in atto in Francia e talvolta anche in Italia, dall’altro esistono formule alternative soprattutto negli Stati Uniti dove la mission dei distributori è di trasformare l’Ipermercato in un luogo dove si svolgono eventi, nel campo della cultura oppure della musica, un luogo dove attorno all’evento si creano possibilità di acquisto attinenti allo stesso con una clientela potenziale capace di decuplicare rispetto alla norma. Quale formula sarebbe migliore per il nostro Paese?
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